Un’oasi di pace

Se fossi un elfo, un folletto o una piccola creatura del bosco, credo che mi stabilirei qui, in una casetta ai lati di questo stagno, tra le felci e gli abeti che si riflettono in questo specchio d’acqua incantato.

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Se fossi una fatina, mi aggirerei da queste parti con la mia bacchetta magica per esaudire i desideri di tutti quelli che si siedono su questa panchina.

Se potessi esprimere un desiderio, vorrei conoscere i nomi di tutte le piante che crescono rigogliose intorno allo stagno.  E’ un tripudio di felci.

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Intorno a noi si stagliano questi meravigliosi alberi, pini, abeti o sequoie? So dirvi solo che sono altissimi.

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E poi poco oltre, ecco gli ultimi rododendri fioriti. All’inzio della primavera qui a Finnerty Gardens è un tripudio di colori, dal bianco al viola, passando per tutti i toni del rosa e dell’arancio. I miei preferiti sono quelli viola, che sono gli ultimi a sbocciare.

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Quelli bianchi ormai sono meno rigogliosi e in questi giorni risentono del caldo.

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Se guardo in giù, trovo tanti fiorellini bianchi, probabilmente sono specie indigene, chissà come si chiameranno e tra loro, solitario un bel fiore viola. Tutt’intorno ci danno il benvenuto mille sfumature di verde.

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Le abili mani dei giardinieri fanno convivere alberi e piante di ogni tipo. Dai sempreverdi agli aceri giapponesi con le loro foglioline stilizzate di un rosso acceso creano una splendida fantasia patchwork.

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Gli abbinamenti cromatici ci riservano magnifiche sorprese.

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Giriamo l’angolo e proseguiamo su questo sentierino alberato. I raggi del sole si filtrano fino a raggiungere la vegetazione del sottobosco.

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Dicono che ci siano centinaia di rododendri colorati, ecco quelli rosa

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Le azalee sono già fiorite, siamo arrivati troppo tardi, ma ci consoliamo con questi fiori rosa, circondati dalle felci che in questi giardini la fanno da padroni.

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Le piogge abbondanti e il clima mite creano l’habitat perfetto per loro.

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Stranamente, nonostante l’umidità e la pioggia non crescono i funghi. Marcovaldo sarebbe un po’ deluso, ma forse riuscirebbe ad immaginare altre avventure, magari inseguendo uno scoiattolo tra i rami degli alberi o di una farfalla tra questi fiori.

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Credo che sia una magnolia. Intorno tante altre piante, di cui forse un giorno imparerò il nome.

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Muschi e licheni alle cascate di Little Qualicum

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Ricordo che alle elementari un giorno la maestra ci aveva parlato di muschi e licheni ed io che ero una bambina con una certa tendenza all’immaginazione ero rimasta proprio affascinata dalla spiegazione. La presenza di quelle forme vegetali mi sembrava straordinaria. Certo, vivendo in un appartamento in una città come Genova, non è che il muschio lo vedessi con molta frequenza, ma la spiegazione mi è rimasta impressa, per cui tutte le volte che va in un parco guardo con ammirazione i mille volti di muschi e licheni. Sull’isola di Vancouver la natura concede mille opportunità di contemplare ogni tipo di muschio, non solo quello che si mette nel Presepe a Natale. Qui, soprattutto nelle zone più umide il muschio cresce anche sui rami degli alberi. Guardare per credere. Visto come copre questi rami secchi?

Ci troviamo nel Little Qualicum Falls Park, più o meno nella zona centrale dell’isola. Il parco ci da il benvenuto con alberi magnifici ed altissimi. Ci avvertono che non piove da tre mesi, quindi di acqua nelle cascate ne è rimasta poca, comunque pare che per le numerose varietà di muschio che crescono in questa zona il clima secco di quest’estate non abbia creato nessun problema. Fin dal ciglio della strada crea un cuscino verde che si estende tra le felci, fino ad arrampicarsi sulla corteccia degli alberi.

Forma un bel tappeto verde, comodo comodo per un bel picnic, una pausa per una merendina. Il signor scoiattolo qui sembra apprezzare il comfort del muschio.

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Lo scorgiamo e ci avviciniamo lentamente per non spaventarlo. Sembra che questa pigna sia proprio buona e che su questo muschio si stia proprio comodi perché pare che nulla lo preoccupi, neanche i turisti che in questi giorni iniziano ad essere numerosi. Lui, nonostante i curiosi continua a sgranocchiare indisturbato. Si guarda intorno, fa una piccola pausa sul suo divano morbido e confortevole. Un tempo sotto il muschio doveva esserci il tronco di un albero, uno di questi pini giganteschi. Forse l’anno tagliato o, più probabilmente è caduto in seguito a una burrasca e a poco a poco con  le piogge e l’umidità ha iniziato a ricoprirsi di una vegetazione sempre più fitta, fino ad assumere l’aspetto di una moquette verde.

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In questo ambiente naturale l’umidità di solito non manca non solo per le cascate che generano una certa quantità di condensa, ma soprattutto per la vegetazione che si contende la luce e contribuisce a creare l’habitat ideale per muschi, licheni e felci. Nel sottobosco crescono rigogliose al lato del torrente.

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E le cascate, dove sono? vi domanderete perplessi. Eccole, in questo momento dell’anno c’è poca acqua, possiamo quindi notare la bellezza delle rocce scavate dall’incessante flusso del fiume omonimo, il Qualicum.

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Tutt’intorno si dipana un sentiero nel verde che costeggia le cascate. E’ una passeggiata rilassante, circondata da alberi maestosi che poco si prestano alle lenti del mio smartphone. Ci provo, ma il risultato è davvero mediocre in confronto alla magnificenza dell’originale.

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Intorno al sentiero la recinzione metallica tiene lontani i turisti dal fiume e dalle cascate. E’ severamente proibito fare il bagno. Ci avvertono del pericolo e come potete vedere la rete metallica impedisce di avvicinarsi troppo.

 

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In questo come in molti altri parchi ci sono molti tronchi caduti a terra. Sembra che questi abbiano navigato a lungo e siano stati levigati dall’acqua prima di incastrarsi da le due sponde del fiume.

 

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Il fiume si è scavato l’ alveo tra le rocce

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In altre stagioni l’acqua ricopre gran parte di questa zona, ma il bello della relativa siccità di questi ultimi mesi è che si possono osservare le rocce che emergono tra le acque.

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La sostanza bianca immagino che sia calcare, ma è solo un’ipotesi.

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Ci aggiriamo per il parco, godendoci il panorama finché scopriamo che meno di una settimana fa è stato avvistato un orso da queste parti. Girando per i parchi ho scoperto che la guardia forestale avvisa i turisti della presenza degli orsi con questi cartellini sui quali con il pennarello cancellabile segna la data.

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Qualche orso bruno l’abbiamo visto anche noi sulla strada per Tofino, ma non abbiamo fatto in tempo a fotografarlo. I ranger e le guardie forestali, invece, in tutti questi anni non le ho mai viste, ma non perdo la speranza. Stay tuned!

Ritorno a Fisherman’s Wharf

Ricordate le variopinte case galleggianti di Fisherman’s Wharf? Ci eravamo stati ben tre anni fa. Nel frattempo ne è passata di acqua sotto i ponti e sulle banchine dei moli. Tre primavere dopo eccoci di nuovo in questo quartiere a girovagare tra le casette e i ristorantini, tutti rigorosamente galleggianti. E’ una tranquilla domenica di fine giugno. Manca meno di una settimana ad una data storica, i 150 anni del Canada e fervono i preparativi. IMG_20170625_163151.jpg

Anche qui si decorano le case con bandiere multicolore. Il Canada, paese orgoglioso del mosaico di identità che lo compongono, mostra tutte le sue diversità. E allora non solo bianco e rosso, ma tutti i colori dell’arcobaleno s’incontrano e convivono pacificamente. E’ una delle giornate più calde, il termometro ha sfiorato i 25 gradi sventolano le bandiere.IMG_20170625_164530

I turisti passeggiano incuriositi. C’é chi pensa di fare un’escursione per andare a vedere le balene, chi si ferma a fare due chiacchiere e chi si riposa un po’.

A qualcuno è venuto appetito e ha deciso di andare al ristorante: fish and chips o sushi?IMG_20170625_162802

Barb’s è un’istituzione da queste parti, ma per chi preferisce qualcosa di meno tradizionale, oltre alla cucina giapponese non poteva mancare quella messicana. Visto il sombrero?

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Per chi preferisce qualcosa di dolce, ecco caramelle e pop corn.

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Il negozietto è invitante con quei colori magnifici. Ricorda la casetta delle bambole. Qui è il regno della fantasia. Ogni anno la zona si rinnova, alcune casette galleggianti partono per altre destinazioni. Alcune vengono vendute, altre ristrutturate. I proprietari addobbano le facciate aggiungendo sempre nuovi particolari.

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E se non si può avere il giardino in una casa galleggiante, niente paura, si possono sempre coltivare alcune piantine. E se le farfalle vere non ci sono, allora arrivano quelle di ceramica.

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Anche questo è il Canada e come recita l’inno nazionale “We stand on guard for thee”

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Passeggiata in spiaggia

Era da un po’ che non si andava in spiaggia. Ci eravamo salutati con le atmosfere invernali evocate dal loden. Oggi finalmente si torna al mare, all’Ocean View Beach, nella penisola di Saanich. E’ stata una primavera molto capricciosa, ostinatamente fredda e cupa. Lunghe giornate di pioggia, cielo coperto, nuvoloni minacciosi ci hanno fatto compagnia fino a qualche giorno fa, ma alla fine si è imposta l’estate. Per quest’anno ho deciso di andare ad esplorare nuove spiagge, ed eccoci qui, di fronte all’oceano che separa il Canada dagli Stati Uniti. Ci danno il benvenuto una serie di isole ed isolette e sullo sfondo le magnifiche montagne dello stato di Washington. In lontananza si staglia il Mt. Baker, sempre innevato, meraviglioso con il suo manto di neve.

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Un airone, tranquillo e solitario, si gode lo spettacolo.  Oggi c’è bassa marea, il litorale si estende tra distese di alghe, creando delle pozze d’acqua, mentre la spiaggia si estende verso il mare e c’è chi decide di farsi una galoppata sulla battigia, là dove terra e mare si incontrano.

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Tra qualche ora il mare tornerà a farla da padrone, ma per ora ci regala una spiaggia petrosa, coperta di alghe e di ciottoli. Troviamo i resti dei granchi, le conchiglie, testimoni silenziosi di ecosistema complesso e mutante. La spiaggia si estende verso la riserva indiana.

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Giungiamo al confine, ci fermiamo davanti al territorio dei Tsawout, gli abitanti di questa zona che da tempo immemorabile vivono sull’isola. Il cartello ci ricorda che da questo punto in poi, la spiaggia e il mare sono protetti dall’accordo firmato dalle tribù indigene con il colonizzatore inglese James Douglas, personaggio cruciale nella storia dell’isola.

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Era il lontano 1852 quando si firmò l’accordo. Non ci sono reti metalliche a delineare la zona, solo un breve annuncio. Per rispetto nei confronti dei padroni di casa, torniamo indietro e la meraviglia del paesaggio ci lascia senza fiato. Mi sfilo le scarpe e metto i piedi in acqua. Non è neanche troppo fredda, peccato però che per fare il bagno ci voglia la muta. Ci accontentiamo di camminare, contemplando il paesaggio.

La spiaggia è incontaminata, non ci sono ombrelloni, ne sdraio. I tronchi d’albero caduti sulla sabbia si levigano al sole.

Cammina, cammina, inizia a venirci sete ed ecco che a poca distanza dalla spiaggia scoviamo un camioncino di street food. Contribuiamo all’economia locale con un Ginger Ale artigianale

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Accompagnato da un’insalata a chilometro zero

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Alla salute!

 

Il loden

Riemerge dal passato con la forza simbolica di un rito di passaggio che segna la fine dell’infanzia, quel cappotto verde di lana ispida che mi tenne compagnia per tutti gli anni delle elementari. Cambiava la lunghezza, la taglia, ma il loden era il fedele e temuto compagno dell’inverno. Ricordo ancora il pomeriggio in cui mia madre ci portò in un elegante negozio del centro per prendere quello che immaginavo sarebbe stato un grazioso cappottino, simile a quelli che avevo portato fino a quel momento, con il colletto di vellutino che ti accarezzava quando avevi sonno. Non mi ero resa conto che a sei anni la moda aveva stabilito il mio ingresso nel mondo degli adulti, un mondo conformista e intransigente che richiedeva sacrifici, stoicismo e obbedienza. Banditi per sempre i vezzi, la dolcezza e le coccole di quei cappottini vezzosi che mi avevano accompagnato fino ad allora, mi accingevo a vestire un capo dall’aspetto monacale che non lasciava spazio alle carezze, all’affetto, all’espressione dei sentimenti, alla fantasia e ai colori che esprimevano la mia personalità.

Probabilmente mia madre ce ne aveva parlato o forse ne aveva parlato con mia sorella, perchè lei non si sorprese, non obiettò, accettò il loden con naturalità. Quando entrammo in quella boutique in una delle vie più eleganti della città, Via XX Settembre, tutto era stato già deciso: quel pomeriggio mia sorella ed io avremmo avuto il Loden, come tutte le bambine della Genova bene.

Ricordo le amplie vetrine, le porte che si aprivano su un negozio zeppo di abiti per uomo, donna e bambini. Chissà perché i più piccoli dovevano accomodarsi al secondo piano. La scala segnava una piccola curva sotto le luci accoglienti, finché la commessa di turno portò quegli orribili indumenti dal taglio informe e vagamente militare che sembra fatto apposta per temprare il carattere dell’establishment genovese, burbero e austero.

Non riuscivo a capire per quale strana ragione dovessi mettermi una cosa così terribilmente brutta, io che amavo i colori sgargianti il giallo, il rosso. Perchè dovevo rassegnarmi a quel verde oliva che sembra la tomba della spensierata allegria infantile? Non osavo chiederlo. Mia madre aveva già stabilito tutto. Con l’arrivo del freddo, un freddo relativo perche’ negli anni settanta a Genova le stagioni non erano ancora impazzite, era d’uopo infagottarsi in quell’orribile cappotto d’oltralpe, un cappotto dal nome bizzarro che mi sembrò di una bruttezza sconvolgente che contrastava con lo scintillio delle luci e la raffinatezza del resto del negozio. In quel momento non mi resi conto che quell’acquisto avrebbe marcato la mia vita, ponendo fine al magico mondo dell’infanzia caratterizzato da abiti comodi di materiali soffici che ti offrivano un abbraccio rassicurante nei pomeriggi freddi e nuvolosi. Stentavo a capire come mai mia madre ci portasse in un negozio cosi’ elegante e raffinato per scegliere qualcosa di così infinitamente brutto. Mi sembrava una specie di perverso voto di povertà professato nel tempio della bellezza e della moda.

Non lo capivo perché; per me quel loden verdone rappresentava quanto di più brutto ci fosse sul mercato. Ma non erano sole le considerazioni estetiche, il fatto che sembrasse un saio informe, a preoccuparmi, era la consistenza della stoffa, ispida come la pagliaferro a suscitare qualche perplessità da parte mia. Per me quell’orribile cappotto d’oltralpe era orrendo, non potevo immaginare nulla di più brutto, informe e decisamente maschile nel senso peggiore del termine. In piu’ la lana era così ispida che la prima volta che provai a strofinarmi il collo sul colletto, come avevo sempre fatto con gli altri cappottini per godermi la carezza del vellutino, mi feci male. Il loden nelle forme e nella sostanza non era fatto per la tenerezza, se provavi ad avvicinare troppo la pelle al tessuto ti scorticava l’epidermide come una lima, senza un minimo di compassione.

Nonostante ciò non ebbi il coraggio di opporre resistenza, sapevo che non sarebbe servito a niente, che il destino era segnato e che avrei dovuto rassegnarmi al grigiore di quella stoffa grezza tinta oliva che ormai portavano tutti. Credo che mia madre lo considerasse elegante. Non ho mai avuto il coraggio di dirle quanto lo detestassi.

Immagini di repertorio

Si riconferma anche quest’anno la mia tendenza al letargo durante i mesi invernali. Nonostante ciò visti i nuovi germogli, sono tornata a giocherellare con la tastiera per offrirvi qualche immagine di repertorio visto che sono temporaneamente senza telefono.

E’ passato un anno dall’ultima visita a Butchart Gardens, ma anche durante la passeggiata mattutina ho potuto comprobare che i rododendri stanno sbocciando e presto saranno tutti meravigliosamente fioriti.IMG_20150208_153858

Fanno capolino nelle aiuole i primi fiorellini: i famosi daffodils o giunchiglie.

 

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E una serie di fiori di cui pur ignorando i nomi ammiro i colori, la speranza della primavera che inizia ad annunciarsi tra un temporale e l’altro.

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E vi lascio con questo augurio come preludio della felicità della primavera in attesa dell’estate quando spero di riunirmi con tante persone care.

Un abbraccio fiorito

 

Non ho mai tempo: ricordi fioriti

Ebbene sì come tutti del resto vivo sempre con l’acqua alla gola, il tempo non basta mai, o meglio non basta mai l’energia per poter correre tutto il giorno per mantenersi in costante attività ogni secondo, ogni minuto, ogni ora. E così le foto languono in un file da cui spero sempre di tirarle fuori per mostrarle a chi ha il tempo e la voglia di entrare in questo spazio virtuale. Durante l’inverno sono tornata diverse volte a Butchart Gardens a visitare i giardini. Il cielo è grigio, l’atmosfera sonnolenta come suole avvenire durante i mesi invernali. Siamo in febbraio, il sole tramonta presto e le nuvole ci coccolano concedendoci un clima tutto sommato mite per queste latitudini. La pioggia abbondante di questi mesi favorisce la crescita di una vegetazione rigogliosa. La natura si risveglia e sbocciano i primi fiori. Nel giardino giapponese osserviamo un’armonia di muschi che ricoprono i tronchi e i rami degli alberi ormai senza foglie. All’interno delle serre invece è un tripudio di colori, dai tulipani alle orchidee. La natura ha i suoi tempi ed una saggezza infinita che solo in parte riusciamo a cogliere presi dalla fretta. Buona visione!!!

 

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