Ogni piede ha la sua scarpa

Dedicato ad una compagnia di viaggio molto speciale.

“Ogni piede ha la sua scarpa”. Così recita il proverbio conferendo alle calzature una serie di caratteristiche ed attributi che vanno ben oltre la funzione deambulatoria per la quale sono state inventate.  Ce lo ricordano le fiabe: grazie ad una scarpetta di cristallo la bella e sfortunata Cenerentola trova il principe azzurro. Eh, sì, una scarpa può cambiare la vita o far parte della vita stessa come ci ricorda Paolo Conte. “Quanta strada nei miei sandali!” Mi immagino un paio di sandali sfondati, brutti, ma comodi, fedeli amici di un tempo passato come quel vecchio scarpone dimenticato in soffitta. Ebbene sì, le scarpe usate sono le più comode, le più amate; compagni fedeli che ci seguono nel mistico o prosaico cammino della vita.

Che dire delle scarpe nuove? Trovare una scarpa comoda è come trovare un amico: molti sono i candidati, pochi quelli che restano a farci compagnia e non ci deludono nei momenti più difficili.  Anche voi suppongo avrete un paio di scarpe dalle quali non vi separereste mai. Io, nonostante il feticismo per le scarpe, sono fedele a quelle che mi trattano con più considerazione, che mi coccolano, che mi portano in giro senza molte difficoltà.  Ricambio l’affetto e l’attenzione, ma, a volte, non c’è scampo, c’è bisogno di un paio di scarpe nuove.

Ed eccomi qui a parlare di scarpe e scarponi mentre mi dibatto se acquistarne un paio o aspettare che termini l’età glaciale.  Vorrei che si materializzasse un bel paio di stivali caldi e comodi, ma non ho voglia di affrontare il centro commerciale, quel labirinto di luci al neon nel quale si aggira un’umanità alienata che sgomita con borse, borsette e borsoni. Eppure la necessità resta, se voglio uscire devo procurarmi gli stivali, ma come ci arrivo al negozio se non ho le scarpe adatte? Il dilemma mi riporta all’infanzia quando per mesi mi sono dibattuta sulla necessità di acquistare un portafoglio. Avevo raggiunto un’aporia: se compro il portafoglio, non ho più soldi da metterci dentro, ma, se non lo compro, dove metto i soldi? La soluzione ci sarebbe stata, avrei potuto spendere i soldi per comprare qualche giornalino, un giocattolo o delle caramelle, ma a quell’epoca non riuscivo ad uscire dalla dicotomia soldi/portafoglio. Ora che sono cresciuta e che di portafogli ne ho più di uno (non si sa mai), sono gli stivali a crearmi questo dilemma. Vabbè, dilemma per modo di dire, non si tratta di una cosa grave, la soluzione è ovvia.

Eppure in questo momento proprio non ne ho voglia di uscire e dedicarmi allo shopping (Alzheimer precoce? Ho dimenticato i piaceri della shopaholic? Non sia mai). Il fatto è che con le scarpe ho sempre avuto un rapporto particolare. Ricordate quel negozio di scarpe e ciabattine in Via Luccoli a Genova? Mia madre ricorda ancora il numero preciso di scarpe che provai all’epoca dell’asilo quando cercavo un paio di pantofole di panno rosso. Non si è più dimenticata il tono sarcastico della commessa che mi diceva: “Vai, bambina, valle a cercare da un’altra parte”. Devo dire che, nonostante la leggenda famigliare mi abbia fatto riflettere sull’accaduto in quel momento avevo considerato sensate le parole della donna. Se quelle pantofole non mi andavano bene, bisognava continuare la ricerca con la stessa tenacia con la quale nella vita mi sono dedicata ad altre imprese.

Purtroppo so che gli stivali saranno tutti scomodi, stretti, brutti e, ciliegina sulla torta, cari. Gli stivali sono molto, ma molto più difficili delle pantofole, so che mi ci vorranno giorni per trovare il paio giusto. Non me la sento di affrontare la ricerca. Potrei decidere di rimanere a casa o di cercare di evitare la neve? No, non credo proprio, urge una soluzione più pratica e dinamica. Ieri pomeriggio non ho accompagnato i bambini al negozio di video perchè avevo le scarpe bagnate. Non posso andare avanti così. Finora me la sono cavata con il phon scaldando le scarpe prima di uscire e asciugandole una volta tornata a casa. Riconosco che non si tratta di una soluzione a lungo termine anche perchè in ufficio il phon non ce l’ho, in più se volessi fare vita sociale, qualcosa ai piedi dovrei pur mettermelo. Questi lampi di genio funzionano lì per lì, ma non ci si può fare affidamento. Nonostante tutto, devo dire, a titolo di cronaca, che le mie trovate, tanto geniali come fallimentari, fanno miracoli per l’autostima: per un attimo sento l’euforia di Billy Coyote o di Gatto Silvestro quando si apprestano a portare a termine l’ennesima impresa. L’euforia della trovata dura poco e mi trovo a rimuginare, mumble mumble, per cercare di risolvere la situazione evitando i negozi. Cercherò di inventarmi qualcos’altro. Per ora ho il phon qui sul tavolo, vicino al computer. Non sia mai che mi venga voglia di uscire!

Ciò che resta della notte

Forse perchè della fatal quiete
Tu sei l’imago a me si cara vieni
O sera.

In questa stagione la sera e la notte giungono con molto anticipo rispetto ai nostri desideri ed il sole al mattino stenta a svegliarsi e a rischiarare il cielo invernale. Sono già le sette di una domenica invernale. Il sole se la prende comoda, potremmo credere che siano ancora le cinque, ma l’orologio non mente. L’ho guardato con apprensione quando ancora non avevo diretto lo sguardo fuori dalla finestra e nella mia camera regnava l’oscurità assoluta. Temevo che fossero le 4 e che mancassero ancora troppe ore per alzarsi. Invece, grata notizia, la notte, almeno in teoria, è terminata, ed il giorno è cominciato. Ho licenza di alzarmi e iniziare a scrivere. Il caffè lo prenderò più tardi con la mia famiglia. Per le prossime due ore regnerà la calma, la quiete prima della tempesta mattuttina, rimandata oggi grazie alla pausa domenicale.
Ma cosa resta della notte? Ci abbiamo mai pensato al suonare della sveglia, mentre ci accingiamo ad abbandonare quel ventre caldo che ci ha accolto con dolcezza e continua a sedurci come la più incantevole delle sirene? Chi come l’amato Morfeo sa coccolarci? Chi, come lui, ci seduce e ci abbandona, ci lusinga e ci sfugge in quel gioco perverso chiamato insonnia?
Cosa resta di quella notte, tormentata o serena a seconda della fortuna e del temperamento individuale? “Non so come fai a pensare a queste cose al mattino presto, prima di aver preso il caffè” protesta il mio consorte quando, durante le giornate lavorative, oso porgli il quesito. Dopo aver ingurgitato la dose necessaria di caffeina per iniziare la giornata, i bambini invadono la cucina e l’ingranaggio produttivo non lascia spazio alle riflessioni filosofiche. Ferve l’attività: c’è da finire la cartella, preparare il pranzo, lavarsi, vestirsi, ricordarsi di prendere tutto, chi ha tempo per interrogarsi sulle sequele della notte? Non resta che il week end per rifletterci.
Mi domando cosa resti della notte e non del giorno come implica il titolo dello struggente film di James Ivory, Remains of the Day, a cui ho fatto allusione più di una volta. Mentre l’imminenza della sera e della notte hanno sollecitato l’interesse filosofico e poetico di menti illustri, l’alba e l’inizio del nuovo giorno non hanno sollecitato lo stesso livello di interesse. In una tradizione filosofica predicata sulla fine, sulla morte, sull’inevitabilità della conclusione della vita, tanto la categoria della nascita quanto quella dell’alba non hanno incontrato molti paladini. Ce lo ricorda Hannah Arendt che in The Human Condition afferma: “natality, not mortality, may be the central category of political, as distinguished from metaphysical, thought” (9).
E cos’è l’alba se non la nascita di un nuovo giorno? Cos’è la notte se non la lenta gestazione di un nuovo mattino, della possibilità di ricominciare, di tornare a nascere alla vita? Ma, come si è detto nella tradizione filosofica occidentale la sera, preludio della notte, viene indissolubilmente associata alla morte. E’ ciò che termina che ci preoccupa, non ciò che inizia che si apre alla vita come il mattino. Ma cosa sarebbe il mattino senza il sonno ristoratore della notte? Lo sa bene chi tenta inutilmente di trovare pace girandosi e rigirandosi sul letto, abbracciando il cuscino, cercando la posizione giusta. Quando il sonno ci abbandona, quando la notte non porta pace, è ciò che resta di quell’esperienza a segnare, senza misericordia, le ore di veglia. Lo sa bene chi soffre di insonnia. Inutile negare l’evidenza: le tribolazioni notturne lasciano il segno. Ciò che resta della notte, la stanchezza, l’irrequietezza, quella strana sensazione di aver lasciato qualcosa di inconcluso durante le ore buie che avremmo voluto dedicare al sonno, sono una sensazione conosciuta a quanti non trovano riposo al termine del giorno.